Giuseppe Ferrari, “Pipin” per tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo, nasce a Sanremo il 19 luglio 1904 da Giovanni Battista “Bacicin”, allora capo dell’ufficio telegrafico di Sanremo, e Bianca Sappia.” Egli apparteneva ad una delle più antiche e nobili famiglie della Liguria, unica nella Riviera di ponente ad essere inclusa nell’albo d’oro della Repubblica di Genova : i De’ Ferrari-Palmari” (dal Dizionario degli artisti contemporanei ed. la Ginestra 1963 vol II pag 249). Trascorse tutta la sua vita a Sanremo, città che amò di un amore intenso e disinteressato, a cui dedicò tutta la sua esistenza, ogni suo pensiero, ogni sua attività. Dopo la maturità classica conseguita al Liceo Cassini, dovette abbandonare per qualche tempo la sua amata città per proseguire gli studi prima a Torino, all’Accademia Albertina di Belle Arti, poi a Genova dove si diplomò in disegno e architettura. Si perfezionò poi a Milano all’Accademia di Brera, (fu allievo di Ambrogio Alciati) dove frequentò anche un corso di scultura nella convinzione che per ben dipingere occorresse anche saper modellare la creta e qualsiasi altro materiale; solo cosi il soggetto dipinto sarebbe stato saldamente impresso sulla tela. L’amore per l’arte si mischiava intanto con quello per la poesia: purtroppo esistono solo brevi e delicati sonetti, riflessioni sulla vita, sull’ amore, su luoghi amati, sui sentimenti dell’uomo, spesso intrisi da una profonda malinconia e da una vena nostalgica. Talvolta invece i versi assumono i colori dei suoi quadri e diventano pennellate di gioia e di serenità. Scrisse anche delle novelle di cui purtroppo sono rimaste poche tracce, quali “Parlando d’amore del 1927“, “Foglie sparse“, “Canto di un’anima“, “Massime minime“, “Discorrendo con la mia pipa“, “Memorie” .
Si dedicò per un certo periodo anche alla musica che lui stesso definì il suo grande amore. E’ un amore che nacque da bambino quando Domenico Orengo, organista di San Siro, gli insegnava pianoforte e solfeggio; inseguito volle intraprendere lo studio della chitarra ma una frattura al polso subita durante una partita di pallone elastico ( altra sua passione; era un ottimo battitore! ) lo costrinse ad interrompere tutti gli studi musicali pur con dispiacere. La musica restò comunque nel suo cuore; scrisse infatti piccoli brani tra cui alcune preghiere e tante sono le critiche musicali pubblicate non solo sulle nostre testate locali ma anche su famose riviste e giornali a livello nazionale.
Terminati gli studi iniziò la sua carriera di pittore e giornalista, collaborando al Secolo XIX e al Resto del Carlino. Nel 1948-49 Pipin e il suo amico Antonio Rubino fondarono dapprima il Gazzettone poi il Gazzettino della Riviera dei Fiori e agli articoli vivaci, ironici e pungenti di Ferrari si univano le stravaganti e fantastiche vignette di Rubino, pioniere del fumetto e del cartone animato. Un connubio indissolubile il loro, nel lavoro e nella vita, che si concluse alla morte di Rubino, avvenuta nell’estate 1964 nei boschi di Bajardo mentre scendeva a San Romolo per trascorrere una giornata con l’amico Pipin e la sua famiglia che lo attendevano ansiosi di rivederlo. Ma è soprattutto dalle pagine dell’Eco della Riviera, fondato a Sanremo da Giacomo Gandolfi il 19-3-1916, che Ferrari per oltre 40 anni fece udire la sua voce affrontando qualsiasi argomento: sport, musica, teatro, letteratura e soprattutto storia locale. Nel decennio 1950-1960 da quelle pagine urlò tutto il suo amore per Sanremo, denunciando le brutture che si stavano delineando nella città e difendendola con tutte le sue forze. È proprio in questo decennio, nel 1957, che assieme ad alcuni amici fondò la Famija Sanremasca di cui divenne il primo presidente. Ferrari fu anche capo dell’ufficio stampa del casino municipale ai tempi delle gestioni Lurati e de Sanctis, conoscendo così i più bei nomi del mondo dello spettacolo e della cultura e vivendo anche la nascita di manifestazioni come il festival di Sanremo. Facendo un passo indietro, allo scoppio della seconda guerra mondiale partì volontario, rimanendo ferito gravemente, ma a guerra conclusa rifiutò qualsiasi tipo di onorificenza e ricompensa compresa la pensione.
Nella sua vita Ferrari ottenne molti riconoscimenti ufficiali: nel 1932 e 1942 vinse il I° premio alla mostra internazionale dell’Ex Libris. Nel 1958 ricevette il premio 5 Bettole dedicato da Bordighera allo “scrittore che meglio avesse valorizzato e descritto negli usi e nei costumi la sua terra”. Vinse anche il premio dell’ente turismo di Imperia alla mostra Sanremo Vetta e non si contano le mostre che ospitarono i suoi quadri non solo qui a Sanremo ma anche in altre città. Ricordiamo ad esempio le personali tenute a Luino e a Varese oltre le varie regionali, come si legge in una pubblicazione del novembre 1933 dell’opera nazionale del dopolavoro direzione tecnica provinciale per il folcklore “Profili di professionisti della provincia di Imperia”. Del Ferrari giornalista abbiamo parlato; ricordiamolo ora come pittore. Iniziò verso i 14 anni eseguendo grandi ritratti, di ottima fattura nonostante la giovane età: tratto delicato, morbido, un gioco di luce che plasma la figura rendendola quasi reale, colori caldi e tendenzialmente scuri per permettere alla luce di irrompere improvvisa nel dipinto. Splendidi sono i suoi bozzetti e studi del periodo dell’accademia: sono incisioni, disegni a inchiostro, stampe, oli anche su cartoncino semplice ma di altissimo valore artistico eseguiti con abilità e tecnica notevole.Col tempo sono tante le esperienze pittoriche che nascono dai suoi pennelli ma i soggetti più cari sono gli scorci della Sanremo vecchia, i suoi affascinanti carrugi, i suoi ponti scomparsi, angoli sconosciuti e quelli più noti. Questi cari soggetti sono stati rappresentati in grandi e piccoli oli o in stupendi acquarelli; i colori vanno da tonalità più scure e ombrose quasi a raffigurare quegli angoli della Pigna dove il sole sembra volersi nascondere, a tonalità luminose, vive, anche se tenui e molto pastello. Talvolta i colori soprattutto nei cieli diventano quasi irreali e come sempre la luce fa da padrona modellando l’insieme per renderlo un paesaggio quasi fantastico.
Ora lo storico Ferrari: “Sanremo 500 secoli“, opera in due volumi, è il suo libro più famoso (introvabile la prima edizione ristampato nel 2004) e ambito dagli amanti di storia locale. È una storia di Sanremo tra il serio e il faceto, in cui date e avvenimenti storici vanno di pari passo con buffi personaggi che spuntano qua e là, macchiette che ammiccanno tra i carrugi della Scarpetta. Sono storielle amene che dipingono una Sanremo semplice ma bellissima, dove la gente si accontentava del poco che aveva e la vita scorreva lenta senza il caos e la frenesia di oggi. Tutto questo però non deve far pensare ad una storia poco attendibile, anzi, ogni notizia, ogni data, ogni avvenimento sono attentamente documentate e vi è un grande e meticoloso lavoro di ricerca in archivi e biblioteche per avvalorare tutto cio che viene scritto. È una storia resa più leggera, più piacevole e divertente per arrivare meglio nel cuore della gente.
Vi è poi “Chiese antiche di Sanremo” in cui la descrizione di chiese e cappelle, talune scomparse, è vivacizzata dai racconti uditi dai suoi vecchi, o tramandati da generazioni o da episodi vissuti direttamente. Il suo stile semplice e immediato lo ritroviamo in “Figure, ombre e ricordi” , il suo libro postumo, in cui Sanremo viene presentata attraverso i personaggi che l’hanno popolata nel passato, personaggi celebri o vecchie macchiette che Pipin amava far rivivere attraverso gustose caricature che riproducono le caratteristiche dei personaggi in modo buffo e scanzonato.
Proprio i disegni di queste macchiette o le caricature dei personaggi protagonisti animano questo libro rendendolo ancora piu gustoso e piacevole. Denominatore comune di queste tre opere letterarie Ë uno solo: l’amore unico e profondo per Sanremo, un amore a volte nostalgico che traspare ovunque e accompagna ogni storia e ogni personaggio.
Di carattere battagliero, soprattutto se la posta in gioco era difendere Sanremo, fu protagonista di azioni che all’epoca fecero parecchio rumore, come il salvataggio dalla fusione del monumento a Garibaldi di Leonardo Bistolfi, ancora oggi in corso Imperatrice: assieme ad alcuni suoi amici lo nascose in una fossa di calce spenta per evitare che dalla sua fusione nascessero nuove armi (si era ancora nella seconda guerra mondiale). Non si può dimenticare con quanta forza si batté per la conservazione e il restauro della torre della Ciapela, che stava per essere abbattuta in una notte di dicembre del 1959: è grazie a lui e ad altri amici altrettanto agguerriti se la torre è ancora lì, a far bella mostra di se. Altri avvenimenti trovarono Pipin combattivo: la sistemazione della Pigna, la demolizione della chiesa di San Germano, la comparsa della statua di Carlandria (Siro Andrea Carli) sulla fontana di Piazza mercato. Toccando questi argomenti le pagine dell’Eco si infuocavano e molte furono le querele che ricevette: ma ne usci sempre vincitore. Cercò anche di trasmettere le sue conoscenze pittoriche e architettoniche nell’insegnamento che svolse per molti anni con successo e soddisfazione qui a Sanremo e infine si dedicò anche all’attività di perito calligrafo e d’arte per il tribunale di Sanremo. Insomma da queste righe è evidente la poliedricità del personaggio, un uomo dai mille interessi che animavano la sua vita, vissuta quasi tutta qui, all’ombra “du Campanin de San Sci“. All’inizio una vita focosa e irrequieta, alla fine poi tranquilla, circondato dall’amore dei e per i suoi familiari, e da tele, pennelli e macchina da scrivere per vivacizzare le sue giornate tornando idealmente indietro nel tempo. E qui a Sanremo morì, il 15 agosto 1972, proprio nel giorno della festa “da Madona” tanto cara ai sanremaschi, e non poteva che essere così: un amore tanto grande da morire proprio nel giorno più caro ai sanremaschi e a lui, forse l’ultimo sanremasco vero.