Con la ricorrenza dei 120 anni della nascita di Giuseppe Ferrari, mio padre, abbiamo voluto ricordare la sua figura di artista e di uomo di cultura, cantore del suo tempo e della Belle Epoque. Abbiamo quindi attinto dall’ampio archivio, che curiamo e preserviamo con infinito amore, una serie di opere fra cui molti inediti, in continuità con le precedenti esposizioni del 2004, per il centenario della nascita, e del 2017. 

Un artista nel vero senso della parola, mio padre. Sfogliare i suoi scritti, le sue opere, ripercorrere le sue ricerche, la sua storia e quella dei suoi antenati mi colma di emozione e di un senso di stupore, misto all’insicurezza che si ha di fronte a un’impresa titanica. Infaticabile storico e studioso ha raccolto informazioni e materiali riguardanti soprattutto la storia di Sanremo e del nostro Ponente Ligure, ne ha scritto e ne è stato un abile divulgatore. Pur avendo una visione ampia dell’ambiente socio culturale nazionale e internazionale scelse sempre come luogo elettivo la sua città. Numerosi i viaggi sin da bambino in Italia e all’estero con la sorella Nina e il cognato, che alimentarono la sua apertura mentale e cultura, vennero poi gli studi compiuti a Torino, dove conobbe e frequentò personalità come Umberto II di Savoia, a Milano, a Genova, nella sua produzione si trovano numerose opere ispirate oltre che alla Liguria anche a Roma, a Firenze, a Parigi a parti della Lombardia dove operò e dove espose.

La scelta delle opere per questa mostra è stata concentrata sulla rappresentazione della luce e del colore in una selezione di circa quaranta opere pittoriche realizzate nel periodo centrale della sua attività, con tecniche diverse, ma con la tematica comune di rappresentare la sua città e i “luoghi del cuore” dell’artista, quei paesini di pietra che il nostro entroterra custodisce e offre ancora ai turisti con la loro eterna magia. Si può notare il mutare nel tempo della sua espressione artistica da un figurativo di grande maestria e sensibilità, per approdare con l’olio a visioni e figure quasi rarefatte, che mi ricordano Carrà o Campigli, per giungere, soprattutto negli acquerelli più tardi, a un segno libero e moderno, quasi informale nella sua espressione.

La pittura di paesaggio è sicuramente una delle tematiche prevalenti nell’opera di Ferrari in cui si può ravvisare l’affinità con opere impressioniste e post-impressioniste di artisti quali Van Gogh e Gauguin, Cezanne e Monet, maestri della pittura “en plein air”. La sua pittura assume sempre più cromatismi brillanti e un’interpretazione del tutto personale ed espressiva.

Ogni volta che apro una cartella di disegni o apro un faldone di scritti, mi rendo conto che è stato un vero peccato perderlo in tenera età, ma che grazie alla mia famiglia e a quello che lui ci ha lasciato è sempre vivo e attuale e per questo abbiamo la gioia di condividerne la figura e l’opera. 

Parlare di Pipin Ferrari a Sanremo, specie per quei pochi che ancora in vita lo hanno conosciuto, è come parlare di un’istituzione cittadina, tanto la sua figura e la sua stirpe sono legate alla città. Le famiglie da cui discende, Ferrari e Palmari, appaiono tra le nobiltà del Genovesato, anche se il titolo se lo portò via Napoleone quando venne a parlamentare con i nostri antenati, che rifiutarono di arrendersi. Lo zio di Pipin, Carlo Bernardo Ferrari, fu prefetto del Regno e la sua casa era Villa Ferrari, che poi divenne la famosa Villa Meridiana in cui abitò la famiglia Calvino. Questo l’ambiente in cui è cresciuto Pipin, quando ancora Sanremo era un giardino di limoni e alberi di pepe, con le ville liberty degli inglesi e dei notabili e le casette dei pescatori e dove i ragazzi scorrazzavano tra le vie della Pigna e gli orti inerpicati lungo i torrenti e le fasce dei muretti a secco, proprio quei “sentieri dei nidi di ragno” raccontati da Italo Calvino. Questo è l’humus a cui attinge l’artista, ricco di sapori, profumi e sentimenti che tornano nella sua opera pittorica e letteraria.

E proprio la Pigna, cuore storico di Sanremo, è uno dei soggetti principali nell’intera produzione pittorica di Ferrari e in questa mostra si è scelto di privilegiare la sua produzione paesaggistica, dove l’artista fa riverberare la luce e i colori della sua città.

Molto dotato già in giovane età, Giuseppe Ferrari ha operato attivamente in un arco cronologico che va dal 1920 al 1972, spaziando fra le varie arti di cui ha avuto piena padronanza. Dopo aver studiato all’Accademia Albertina di Torino, essersi diplomato all’Accademia Ligustica a Genova e specializzato a Brera in scultura con l’amico Giacomo Manzù, nel 1927, mentre si stava occupando dei restauri della Abbazia di Valganna insieme al pittore Mario Bettinelli, fu richiamato a casa urgentemente per le condizioni di salute del padre, che dopo poco morì. Da quel momento dedicò tutte le sue energie e talenti alla crescita culturale della sua amata città, come dimostrano le carte di studio, le grafiche, le illustrazioni giovanili custodite ancora adesso nella sua Casa d’Artista in Corso Mombello.

Come pittore realizzò una serie di ritratti di straordinaria efficacia, grazie anche all’insegnamento di Antonio Alciati, valente artista lombardo. Campeggia da sempre nel suo studio il giovanile ritratto del padre, Giovanni Battista, dipinto appena diciottenne, uno dei ritratti di famiglia in cui esprime la grande capacità di cogliere l’animo della persona rappresentata, oltre che il dono di saper “modellare” il volto con una tecnica perfetta, figlia della grande tradizione classica. Ferrari aveva sicuramente un particolare talento nell’arte del ritratto e commentava a riguardo: “Amai sempre studiare ogni forma d’arte, dalla scultura all’incisione e alla pittura; e con quest’ultimo mezzo trattai indifferentemente ogni genere: paesaggi, animali, nudo, figura. Tutto serve per poter giungere al ritratto. Chi sa fare il ritratto, sa fare ogni altra cosa: è questa certamente la più alta espressione dell’arte pittorica! E la pittura si giova molto della scultura. Per costruire saldamente una testa sulla tela bisogna saperla plasmare con la creta.”.

Tra gli anni Venti e Cinquanta del Novecento diviene Capo dell’Ufficio Stampa del Casino Municipale di Sanremo. Ha così modo di conoscere i più bei nomi del mondo dello spettacolo e della cultura e di vivere la nascita di importanti manifestazioni cittadine. Tantissimi gli attestati di amicizia e stima da parte delle personalità che allora animavano Sanremo, custodite presso l’archivio di famiglia. Era il momento fulgido della Belle Epoque, di cui è stato indiscusso cantore e animatore. Tanto la vicina Côte d’Azur, quanto la Riviera dei Fiori erano frequentate da personalità, intellettuali e artisti. Conobbe Dalì e Picasso e sicuramente, come si vede in una serie di disegni che ho avuto modo di studiare, apprezzò la figura di Matisse per il suo segno sintetico e sinuoso. 

Nel 1957 fondò insieme ad altri intellettuali il sodalizio della Famija Sanremasca, di cui divenne primo Presidente sino al 1961, promuovendo importanti iniziative socio-culturali a difesa e a favore della Comunità sanremasca. Nell’occasione Ferrari afferma: “Dichiaro apertamente di amare questo lembo di terra mediterranea e di volerlo bello, prosperoso nel ricordo delle sue antiche tradizioni”.

Molte le azioni in difesa della città per evitare azioni scellerate, come nel 1942 il salvataggio dalla fusione a scopi bellici del monumento a Giuseppe Garibaldi di Leonardo Bistolfi; nel dicembre del 1959 per la conservazione e il restauro della torre della Ciapéla minacciata di demolizione. Ogni tentativo di compromettere o distruggere elementi urbanistici importanti a livello storico e artistico, lo vedeva partire come un paladino contro i piani regolatori soprattutto riguardanti il cuore antico della città, la Pigna. Forte fu l’amicizia con l’illustratore e disegnatore Antonio Rubino e insieme diedero vita a diverse iniziative culturali e sociali, come la fondazione, nel 1948, del “Gazzettino della Riviera dei Fiori” che prese in seguito il nome di “Il Gazzettone” e la “Gazzetta di Sanremo”. 

Alfredo Pasolino, critico e storico dell’arte, definì Giuseppe Ferrari “cantore del mare con l’incanto del colore” e scrisse: “Il prorompente eclettismo del ‘Pipin’ ha messo in luce il lavoro culturale nella sua completezza. Critico d’arte e musicale, compositore lui stesso, cronista mondano e ricercatore d’archivio (documenti e vecchie cartoline della Sanremo perduta), scrittore di fatto di episodi, personaggi della Sanremo che fu, grafologo, perito d’arte e insegnante e vicepreside, anche se la sua vera vocazione fu quella del pittore ‘en plein air’, disegnatore caricaturista, non si può essere tacciati di retorica del ripetitivo, ma questo suo culto per les Beaux Arts, sottofondo di ogni attività, contribuisce a celebrare l’importante figura di un artista e di cittadino. E per tramandarne ai giovani l’identità.”. Così come di notevole sensibilità i saggi critici della storica dell’arte Giorgia Cassini: “Giuseppe ‘Pipin’ Ferrari ha nelle sue opere l’impronta di una personalità impareggiabile: pittore figurativo di alta sensibilità soffusa di poesia, è uno dei maggiori artisti sanremesi del secolo breve. È artista che ha sofferto il tormento della ricerca e la gioia della creazione, dedicando all’arte tutta la sua vita inseguendo con onestà d’intenti l’aspirazione ad essere un artista autentico. Studioso dei valori tecnici della pittura, che intride di istanze etiche e civili, Ferrari sente l’ansia di tradurre in pennellate il suo pensiero comunicando l’emotività della sua prorompente ispirazione con il cromatismo più vario e i soggetti iconografici più diversi.

Anna Maria Ferrari